Concerto

Orchestra Giovanile del Conservatorio"Niccolò Piccinni"

Estevan Velardi, direttore


W. A. MOZART       Ouverture da “La Clemenza di Tito”, K 621 

                                Sinfonia n. 25, K 183 

                                Ouverture da”Don Giovanni”, K 527 

                                Sinfonia n. 40, K 550



La Clemenza di Tito, KV 621   

Nell'ultimo anno della sua vita Mozart fu sollecitato a comporre su commissione tre partiture, diverse per stile e qualità musicale, ma ugualmente interessanti e significative nel contesto della vasta produzione dell'autore. La prima proposta gli venne fatta a maggio del 1791 dal celebre impresario Emanuel Schikaneder, che Mozart aveva conosciuto undici anni prima a Salisburgo e che dirigeva un importante teatro a Vienna. Schikaneder sottopose all'attenzione di Mozart il suo libretto sul Flauto magico (Die Zauberflöte), improntato agli ideali umanitari e di ricerca della verità, della bontà e della bellezza, secondo i canoni della originaria e antica concezione massonica. Mozart si mise subito al lavoro, ma dovette interromperlo a luglio quando gli si presentò il maggiordomo di un certo conte Franz Walsegg, che lo invitava a comporre una Messa di requiem dietro pagamento di una somma stabilita dallo stesso musicista. Il conte Walsegg era un musicista dilettante e di scarso talento, che si rivolgeva a compositori di rango per avere in modo anonimo le loro partiture. Li pagava generosamente e faceva eseguire le loro opere come se si trattasse delle proprie. Si sa che egli ordinò il Requiem in memoria della defunta moglie e ne diresse l'esecuzione nella chiesa dei Cistercensi a Vienna il 14 dicembre 1793: poco dopo l'imbroglio fu chiarito. Nel mese di agosto venne il terzo invito, più urgente e pressante degli altri: l'imperatore Leopoldo II doveva essere incoronato re di Boemia a Praga il 6 settembre e le autorità locali incaricarono il direttore del teatro della città, Guardasoni, di rivolgersi a Mozart perché scrivesse un'opera per quella occasione. Mancavano solo quattro settimane alla data prevista e la scelta del libretto fu in un certo senso obbligata e cadde su un testo scritto da Metastasio nel 1734: La clemenza di Tito, dramma nobile e solenne di argomento romano, già utilizzato in precedenza da altri musicisti, fra cui Antonio Caldara, Leonardo Leo, Johann Adolf Hasse, Christoph Willibald Gluck, Baldassare Galuppi, Nicolò Jommelli, Ignaz Holzbauer, Giuseppe Scarlatti, Pasquale Anfossi, Johann Gottlieb Naumann e Pier Alessandro Guglielmi.Per quanto riguarda l'impegno di Mozart è noto che la partitura della Clemenza di Tito fu completata in soli diciotto giorni; il compositore fu costretto a recarsi subito a Praga, accompagnato dalla moglie Costanza e dall'allievo Süssmayr (forse anche dal clarinettista Anton Stadler, del quale era prevista una parte di rilievo in orchestra), prendendo appunti perfino in carrozza e nei brevi momenti di sosta. La rappresentazione si svolse a Praga il 6 settembre 1791 con tutta la magnificenza possibile, dopo il banchetto dell'incoronazione. «Come sempre Mozart, guidato dal suo infallibile istinto - afferma Magnani - procede tranquillo e sicuro tra i generi e le forme più disparate, senza rimanere mai impigliato nei lacci della moda e del gusto. Neppure ora che dal modernismo romantico, prettamente tedesco, del Flauto magico, è caduto nelle pastoie classicheggianti della vecchia opera seria italiana, qual'è La clemenza di Tito: due mondi profondamente diversi, anzi opposti, ma che il suo genio, come già avvenne per l'Idomeneo e il Ratto dal serraglio, sa comprendere in sé senza uscire dal suo vasto regno. E sarà per ragioni opposte a quelle addotte non senza ironia da Wagner che noi ammiriamo Mozart anche per avere egli trovato per il Tito una musica come quella del Don Giovanni e di Così fan tutte, una musica come quella del Figaro, bensì una musica diversa, adeguata al genere e al testo che gli furono imposti, ispirata all'ideale di classicità, che riviveva in lui per rispondere ad una sua nuova esigenza di un'arte più semplice, spoglia e severa, espressione diretta del suo animo distaccato dalla terra, contristato e deluso». Questo spirito classico - è la chiave con cui bisogna entrare nel mondo della Clemenza di Tito - si manifesta sin dall'ouverture, aperta da solenni unisoni intervallati da lunghe pause, per poi svilupparsi attraverso un concitato primo tema, un secondo tema di dolce cantabilità e un terzo tema in tempo fugato. Il brano riflette il clima nobilmente eroico questo spirito classico – è la chiave con cui bisogna entrare nel mondo della Clemenza di Tito  - si manifesta sin dall’ouverture, aperta da solenni  intervalli da lunghe pause, per poi svilupparsi attraverso un concitato primo tema, un secondo tema di dolce cantabilità e un terzo tema in tempo fugato. Il brano riflette il clima nobilmente eroico tipico dell’opera seria di stampo settecentesco.   


Sinfonia n. 25 in sol minore, KV 183   

1. Allegro con brio  2. Andante  3. Minuetto  4. Allegro  

Salisburgo, 5 Ottobre 1773 

Quella che per tutti i biografi di Mozart è la Sinfonia della svolta, il primo vero capolavoro del genere, un miracolo di compiuta bellezza, venne giudicata molto severamente dal padre Leopold, che in una lettera del 1778 scriveva: "Ciò che non ti fa onore è meglio che non venga conosciuto. Perciò io non ho dato a nessuno le tue Sinfonie, sapendo fin d'ora che tu stesso, per quanto potessi esserne soddisfatto quando le scrivesti, col passar degli anni, quando ti sarai maturato e avrai acquistato discernimento, sarai ben lieto che nessuno le abbia vedute. Si diventa sempre più esigenti". Ma quali erano gli elementi che turbavano tanto il padre di Wolfgang? Perennemente in apprensione per la carriera artistica del figlio che non riusciva ancora a decollare, nonostante il suo portentoso talento, Leopold temeva che il carattere focoso di questa Sinfonia potesse infastidire l'animo compassato dell'Arcivescovo Colloredo, l'unico potente che ancora si degnasse, seppur stentatamente, di mantenere a corte il genio incontenibile di Mozart. Per fortuna l'autore, che pure sulle prime sembrò rivolgersi a più miti consigli, tornando ad uno stile compositivo più ordinario, non rinnegò le vette artistiche raggiunte con questa Sinfonia, quando quindici anni dopo ebbe a misurarsi, per la seconda e ultima volta, con la espressiva tonalità di sol minore, componendo la celeberrima Sinfonia n. 40 K. 550, strutturalmente affine alla giovanile K. 183. La Sinfonia in sol minore K. 183, nota anche come la "Piccola", per distinguerla dalla "Grande" K. 550 nella stessa tonalità, reca la data del 5 ottobre 1773: la leggenda tramanda ch'essa fu scritta in soli due giorni, ma è più plausibile che Mozart attendesse alla composizione di più opere contemporaneamente e questo spiega la distanza di soli due giorni dalla data posta in calce alla precedente Sinfonia K. 182. L'autore, diciassettenne, era rientrato a Salisburgo dopo un'estate passata a Vienna; nei disegni del padre il soggiorno nella capitale austriaca, durato da luglio a settembre, avrebbe dovuto assicurare a Wolfgang un posto presso la corte di Maria Teresa, ma, ancora una volta, i Mozart tornarono a mani vuote nella provinciale Salisburgo, e con la sola prospettiva di continuare a proporre i loro servigi all'ottuso Arcivescovo. Tuttavia l'occasione era stata propizia per la crescita creativa di Mozart che ebbe modo di conoscere alcune Sinfonie Stürmisch di Haydn, Vanhall e von Dittersdorf. Il contatto con queste composizioni (tutte in tonalità minore) aveva suggestionato profondamente il giovane Mozart che, tornato a casa, dopo aver espletato l'obbligo della composizione di Sinfonie consone al gusto salisburghese, decise di mettere a frutto le sue nuove "conquiste". Questa Sinfonia è infatti comunemente associata all'atmosfera impulsiva e passionale dello Sturm una Drang, la corrente artistico letteraria che cominciava a diffondersi prepotentemente in Europa nella seconda metà del Settecento esaltando spontaneità, bellezza e forza della natura e ribaltando le convenzioni del classicismo razionalista. Tuttavia, per dirla con Carli Ballola, "questi riferimenti appaiono pedanteschi e inadeguati", se si pensa all'immediatezza comunicativa di certe idee melodiche, al perfetto equilibrio formale che rende quest'opera l'unica pagina giovanile degna di un raffronto con le ultime grandi Sinfonie mozartiane. Le Sinfonie composte da Mozart in quegli anni sono per lo più ascrivibili allo stile dell'Ouverture italiana: tre movimenti con temi dal carattere leggero e frivolo, e con scarsa incidenza dello sviluppo tematico. La K. 183 si stacca nettamente dal complesso delle Sinfonie coeve e mostra sin dalle prime battute un carattere impetuoso. Ma lo stupore che quest'opera è capace di suscitare ancora ad ogni ascolto sta soprattutto nella profonda unità formale, nella complessità degli sviluppi tematici che percorrono l'intera partitura collegando fra loro, in un costante gioco di rimandi melodici, ritmici e armonici, i suoi quattro movimenti (tutti nella stessa tonalità di sol minore), nella felicità dell'invenzione melodica che arriva a pervadere persino le secondarie sezioni di passaggio, nel mirabile equilibrio di tonalità minore e passaggi in maggiore, nella naturalezza del respiro melodico e ritmico. Il carattere tormentato di questa Sinfonia ha indotto molti biografi a immaginare che essa sia legata ad una personale crisi romantica dell'autore, ma quest'ipotesi non trova alcuna conferma nelle vicende biografiche mozartiane; tuttavia la scelta della tonalità e dell'atmosfera espressiva è indicativa dell'avvenuta crescita spirituale di Mozart, non a caso dunque questa partitura segna il passaggio dagli anni giovanili di apprendistato a quelli della compiuta maturità artistica dell'autore. Il sol minore, sarà d'ora in poi la tonalità ideale per l'espressione del proprio tormento interiore: "Non è ingiustificato definire il sol minore la tonalità della tragica passionalità mozartiana. La sua scelta provoca sempre una colorazione fortemente soggettiva dell'eloquio, una discesa nelle profondità spirituali, una particolare intensità espressiva e talvolta una malinconia che si scioglie in cantabilità fervida e sognante... Tutte queste caratteristiche ardono, genuine e immediate, nella prima Sinfonia in sol minore K. 183". (Paumgartner) Già il primo tema dell'Allegro con brio, esposto dall'oboe e dagli archi, con i suoi ampi salti melodici, lo struggente intervallo di settima diminuita, le caratteristiche sincopi e le rapide scalette discendenti, ci trascina in un clima di grande drammaticità, clic non viene alleggerito neanche dall'esposizione delle altre due idee musicali, meno significative. In particolare il tema con acciaccature di gusto tipicamente italiano perde il suo carattere leggero e mondano perché accompagnato dall'inquieto pulsare dei bassi, che risulta assai più incisivo. La linea ferma dell'oboe viene talvolta isolata dando luogo a bruschi contrasti dinamici dal piano al forte. Anche gli episodi intermedi sono particolarmente geniali nell'invenzione melodica e densi di un'espressività personale e appassionata. L'Andante, ancora nella stessa tonalità di sol minore, non si configura come l'abituale momento di rasserenamento; è infatti animato da un ritmo singhiozzante e da melodie cariche di sospensione. Il Minuetto non ha nulla dell'atteggiamento galante della danza da cui trae spunto; per contrasto il Trio in sol maggiore, affidato ai soli fiati come nelle Serenate, è l'unico brano capace di evocare un'atmosfera di gioia e di pace. Si torna dunque all'energia rabbiosa del Finale, che mostra numerose affinità con il primo tempo (i drammatici unisoni, le concitate sincopi, i forti contrasti dinamici) chiudendo il cerchio di una eccezionale unità formale.                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Emanuela Floridia 


Don Giovanni, ouverture , K 527    

Praga, Nationaltheater, 29 ottobre 1787   

Il Don Giovanni, insieme al Flauto magico, rappresenta il punto più alto e profondo del genio creativo di Mozart che con queste due opere in due atti gettò le basi del melodramma romantico, la più popolare e spettacolare forma di teatro musicale che tanto sviluppo ebbe non solo in Germania, ma in tutta l'Europa. Il Don Giovanni fu scritto su commissione dell'impresario italiano Pasquale Bondini, che compensò il musicista con cento scudi e fu rappresentato all'Opera italiana di Praga il 29 ottobre 1787 con i seguenti interpreti: Teresa Saporiti, Caterina Micelli, Teresina Bondini, Luigi Bassi, Antonio Baghoni e Felice Ponziani. Il successo fu notevole (anche Casanova sedeva fra il pubblico) e almeno pari a quello con cui erano state accolte l'anno precedente Le nozze di Figaro al "Burgtheater" di Vienna. In questa città, invece, il Don Giovanniallestito nel maggio del 1788 trovò scarsi e piuttosto tiepidi consensi, anche se Mozart per questa seconda edizione aveva aggiunto alcuni brani di notevole valore musicale, come la purissima aria del tenore "Dalla sua pace la mia dipende" e la drammatica esplosione vocalistica di Donna Elvira «Mi tradì quell'alma ingrata». Ma Mozart non si preoccupò eccessivamente delle fredde reazioni dei viennesi e sembra che abbia pronunciato il seguente commento: «Lasciate loro il tempo di digerirla». L'opera, infatti, nel giro di pochi anni fu "digerita" in ogni angolo d'Europa e le sue melodie erano conosciute e cantate in ogni ambiente, dal più ricco al più povero. Senza contare poi che tutti i più importanti musicisti, da Haydn a Beethoven, da Rossini a Gounod, da Wagner a Richard Strauss, ebbero una particolare predilezione per questa partitura, concordando sostanzialmente con le parole che Goethe scrisse a Schiller nel 1797: «Il Don Giovanni è opera unica e meravigliosa nel suo genere; la morte di Mozart ci ha distrutto ogni speranza di udire mai più qualcosa di simile». L'ouverture del Don Giovanni fu scritta all'ultimo momento e poche ore prima che l'opera andasse in scena. La stessa moglie Costanza narrò nel libro di memorie mozartiane elaborato dal suo secondo marito, Georg Nissen, come il musicista aveva composto la sinfonia. «L'antivigilia della prima (cioè il 27 ottobre), ultimata la prova generale - scrive Costanza - Mozart disse a sua moglie che quella stessa notte avrebbe scritto l'ouverture; preparasse quindi un punch, restando poi accanto a lui per tenerlo sveglio. Costanza per assecondarlo cominciò a rievocare delle fiabe, come la lampada di Aladino, Cenerentola e Ali Babà, il che fece ridere molto il maestro. Ma il punch gli aveva aumentato il sonno ed egli si assopiva appena lei cessava di raccontare, tornando invece alle sue carte quando Costanza riprendeva a parlare. Ad un certo punto, però, visto che il lavoro non procedeva, lei gli disse di fare un sonnellino, promettendogli di svegliarlo dopo un'ora. Senonché Mozart si addormentò così profondamente che Costanza non ebbe il coraggio di chiamarlo prima di due ore. Erano le cinque del mattino e il copista era convocato per le sette. Alle sette l'ouverture era pronta». L'ouverture è in forma bipartita e racchiude due temi che rappresentano una sintesi sinfonica dell'opera. Il primo è un Andante in crescendo annunciato da accordi gravi degli archi che richiamano la scena finale del Commendatore e simboleggiano il destino vendicatore, mentre il secondo tema in tempo Molto allegro vuole essere un ritratto strumentale del «giovane cavaliere estremamente licenzioso». Questa vigorosa pagina, che anticipa le ouvertures di Beethoven e Cherubini, segue di qualche mese l'Eine kleine Nachtmusik e precede di poco le ultime tre sinfonie: la K. 543 in mi bemolle maggiore (giugno 1788), la K. 550 in sol minore (luglio 1788) e la K. 55] "Jupiter" in do maggiore (agosto 1788).


Sinfonia n. 40 in sol minore, K 550   

1. Molto allegro 2. Andante 3. Minuetto e trio. Allegretto 4. Allegro assai 

Vienna, 25 Luglio 1788 

Fra le più alte composizioni di Mozart, la Sinfonia in sol minore ha costituito fin dai primi dell'Ottocento un simbolo e un enigma: composta nell'estate del 1788 (porta la data 25 luglio), seconda di un ciclo costituito dalla Sinfonia in mi bemolle maggiore e dalla Jupiter, non si sa se abbia avuto un committente o se sia nata, come le altre - le ultime da lui composte prima della morte - come una sorta di confessione, in un momento di terribili avversità nella vita quotidiana. Quel che è quasi certo è che Mozart non potè mai ascoltarla, anche se una correzione nella parte originaria dell'oboe, passata parzialmente al clarinetto (dapprima escluso nell'organico strumentale di questa sinfonia), potrebbe far pensare ad un adattamento dell'opera in vista di una sua imminente esecuzione. È probabile, comunque, che i primi ascoltatori siano rimasti sconcertati dal singolare clima espressivo di questa sinfonia, dal suo cromatismo e dalle sue arditezze, pur in quel suo sfondo di «classica e inalterata bellezza» (Mila) che costituì un modello per tutti i sinfonisti del primo Ottocento, a partire da Beethoven. Ma mentre i musicisti del romanticismo guardarono alla Sinfonia in sol minore quasi come ad un irraggiungibile ideale di purezza (basta pensare ai giudizi di Berlioz in proposito), in tempi a noi più vicini la critica ha sottolineato piuttosto, di quest'opera, l'immediatezza espressiva, il languore, il sottile e sotterraneo turbamento che la pervadono, quasi appunto si tratti di un profetico e drammatico annuncio di tempi nuovi, affrontati in prima persona e senza reticenze, con tutto il peso ossessivo di tristissime esperienze quotidiane. In realtà, i mesi dell'estate 1788 furono per Mozart particolarmente umilianti: è del 27 giugno la lettera al commerciante Puchberg - protettore, amico e «fratello» nell'osservanza massonica - nella quale Mozart accenna fuggevolmente ai suoi presentimenti di morte: «Venga a trovarmi; sono sempre in casa; nei dieci giorni che sono qui ho lavorato più che in due mesi nell'altro alloggio, e se non mi venissero così spesso pensieri neri (che devo scacciare con violenza) starei molto meglio». I «pensieri neri» sono proprio un inconfessato desiderio di morte, una volontà di arrendersi alle avversità della vita, forse un persistente ed inspiegabile languore di fronte alle avversità di tutti i giorni, quando il musicista doveva ricorrere a prestiti per sopperire alle più elementari esigenze della vita e andar di qua e di là in cerca di autorevoli aiuti, con la speranza che potessero esser davvero definitivi e degni del proprio prestigio. È in questo clima che nacque la Sinfonia in sol minore, alla quale fu dato ben presto il titolo di Schwanengesang (canto del cigno), a sottolineare l'emozionante senso di turbamento che la pervade, la sua impalpabile e «ultima» malinconia, la disperata passione che si racchiude nel suo discorso musicale, per quanto dissimulate da innumerevoli e commoventi discrezioni. Di fatto, in queste pagine sublimi, Mozart affronta un discorso musicale che ha aspetti del tutto nuovi rispetto alle sue opere precedenti: il distacco dal clima olimpico di Haydn è ormai definitivo, il discorso musicale è reso più morbido e ombroso dalla mancanza di trombe e di timpani; le sortite dei due corni hanno una emergenza solistica, più che servire da appoggio armonico in un fraseggio diventato sottilmente cromatico e inquieto nei più minuziosi particolari. E tutti gli svolgimenti tematici «sono come tuffi negli abissi dell'anima, simbolizzati in modulazioni tanto audaci che i contemporanei di Mozart non devono essere stati in grado di seguirli e tanto sublimi che soltanto Mozart stesso potè riportarli su di un livello terreno» (Einstein). Insomma, un «canto amaro e sublime» (G. Manzoni), aperto ancora alle più diverse sottolineature interpretative, a seconda che s'intenda mettere in primo piano la sua perfezione formale, la sua divina levigatezza di tratti, o l'intimo fervore - come di confessione - dei suoi dolorosi abbandoni.                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Leonardo Pinzauti


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